Un punto di vista al femminile, veramente libero da preconcetti.
Dal blog di Valentina Nappi @ Micromega:
Squirtare in Faccia a Diego Fusaro
"Quando, in una conversazione privata, la regista Monica Stambrini mi disse che a suo avviso «noi dobbiamo fare il porno che ci piace», io le risposi che dobbiamo anche chiederci perché ci piace. Il principio del non discutere sui gusti è un pessimo principio: i gusti sono importanti, poiché dipendono da strutture oggettive. A un numero non trascurabile di miei coetanei piacciono i vecchi film di Mario Salieri: perché? perché piacciono quei contesti cupi, quel sesso visto come coercizione, sopraffazione, violenza? Rispondere che «sono gusti» vuol dire deporre il problema. Io con Salieri ho provato a collaborare, ma a un certo punto ho capito che siamo incompatibili. È però importante chiedersi perché i suoi film a molti ragazzi piacciano, e la risposta è da ricercarsi, banalmente, nel fatto che fra i portati della nostra storia evolutiva – e sottolineo: evolutiva, perché è vero che incidono anche fattori storici, ma c’è un nocciolo duro, genetico, il cui peso eziologico non può essere trascurato – vi è una significativa prossimità fra la dimensione sessuale e quella della coercizione, della sopraffazione e della violenza. Dietro quello che ci piace, magari dietro il piacere di alcune ragazze nel farsi prendere per i capelli durante l’amplesso, si nasconde il volto agghiacciante dell’evoluzione, di una storia ancestrale atroce.
Ma allora quand’è che siamo liberi, se le nostre stesse preferenze (e le nostre inclinazioni più nobili: la passione per la scienza, ad esempio) non sono altro che passività – passioni, appunto – che dipendono da cause materiali indipendenti da noi, alcune delle quali affondano le loro radici in un passato remotissimo, ed evidentemente fuori dal nostro controllo? E cos’è, il nostro controllo? Questa è la domanda a cui avrebbe dovuto (e dovrebbe) rispondere quel pensiero critico che ha sostenuto (e sostiene) che l’abbiamo perso, il controllo.
Elias Canetti scriveva: «Da quando abbiamo affidato alle macchine il compito di predire il nostro futuro, le profezie hanno perso ogni valore. Quanto più ci separiamo da noi stessi, quanto più ci consegnamo a istanze senza vita, tanto meno riusciamo a padroneggiare quello che accade. Il nostro crescente potere su tutto, su ciò che è vivente e su ciò che non lo è, e in special modo sui nostri simili, si è trasformato in un contropotere che solo in apparenza riusciamo a controllare». Ma chi siamo i noi stessi da cui ci staremmo separando? Quando e soprattutto in che senso abbiamo mai padroneggiato quello che accade? In che senso l’uomo può essere artefice della storia e in che senso, invece, subisce la storia?
Queste domande sono la chiave di lettura di un divertente scambio di battute fra Massimo Cacciari e Diego Fusaro. Cacciari fa notare che per Marx il capitalismo non è affatto il supremo compimento della razionalità tecnica e, proprio per questo, ha dei limiti (limiti tecnici, potremmo dire) e sarà superato (come sostiene anche il suo maestro Severino). Fusaro, nel rispondere, suggerisce una lettura idealista di Marx come riattivatore della prassi, di una soggettività umana attiva e non passiva. Siamo di nuovo al problema attività/passività, un problema enorme che è lo stesso sollevato dalle domande di sopra. Dietro risposte arbitrarie – implicite o esplicite – a tali domande, si nasconde il nucleo teoretico dei discorsi fallaci di coloro (anche grandi filosofi o presunti tali) che vogliono far passare per prassi trasformatrice (attiva, cosciente) ciò che piace a loro, e viceversa per passività ciò che a loro non piace. Come se l’entusiasmo per le conquiste (anche antiborghesi!) del capitalismo implicasse necessariamente incoscienza e impedisse di concepire una prassi orientata al superamento del modo di produzione capitalistico (prassi che dovrebbe andare in direzione diametralmente opposta rispetto a quella, profondamente borghese, del cosiddetto anticapitalismo).
Non si capisce, poi, a che tipo di libertà dovrebbe condurci la pseudoliberazione dal presunto apparato perverso della tecnica, impersonale e anonima, che ci controllerebbe. È lecito sospettare che non libererebbe altro che un’umanità reazionaria neo-premoderna (tradizionalista, comunitarista, identitarista, ecc.). Per chi, come me, auspica un potenziamento del modello occidentale contemporaneo di libertà, in virtù del quale i ragazzi a scuola mettono i piedi sul banco e fanno scoppiare le gomme da masticare in faccia agli insegnanti, tale presunta liberazione sarebbe un incubo. Forse è per questa mia indole che Fusaro mi insulta in un suo articolo, paragonandomi tra le altre cose a un verme. Probabilmente lui dirà che la vera libertà non è pisciare (metaforicamente e non) sul maestro, ma comportarsi da docili allievi (si vedano certi suoi video stucchevoli con Costanzo Preve). Non so se i vermi squirtino, ma…"
Valentina Nappi